Articolo pubblicato su LA STAMPA edizione di ASTI
20 maggio 2022

COMPAGNI DI VITA

COME AIUTARE IL MIO ANIMALE CON UNA MALATTIA INCURABILE

Cure palliative animali

Come aiutare un animale a cui hanno diagnosticato una malattia inguaribile: non solo i farmaci curano, anche “il prendersi cura” fa stare meglio.

La vita con un animale è un lungo percorso di felicità e di condivisione di esperienze ed emozioni, ma non è mai lungo quanto vorremmo e, come per le persone a noi care, anche per il cane, il gatto, il coniglio, ecc. con cui viviamo, arriva il momento in cui ci lasciano.

Le cure mediche e la prevenzione di molte patologie hanno allungato la vita degli animali e hanno dato a noi, i loro compagni umani, l’impressione che il momento della separazione possa non arrivare mai. Inoltre la società di oggi non parla volentieri di morte: nessuno vorrebbe invecchiare, men che meno lasciare questo mondo, e non lo vorremmo neppure per i nostri animali. Per questa ragione  la diagnosi di una malattia inguaribile, anche se l’animale è anziano, è sempre un trauma e una notizia inaspettata.

Ma il nostro amico a quattro zampe ha bisogno dei suoi compagni a due gambe anche e soprattutto in questo momento e noi veterinari dovremmo preparare i proprietari dei pets a questo. Naturalmente la fine della loro vita rimarrà sempre un evento traumatico ma i famigliari conviventi avranno gli strumenti anche psicologici per affrontare la malattia del loro animale e per aiutarlo a vivere gli ultimi giorni serenamente e in pace con chi lo ha amato per molti anni e che lui stesso ha amato a sua volta.

Il medico veterinario, quando comunica una prognosi infausta, si trova di fronte alla difficoltà del “come dirlo ai proprietari”. Paul Watzlawick, nel suo saggio “Pragmatica della comunicazione umana”, afferma che non si può non comunicare. Ossia, quando ci si relaziona con un altro essere vivente, si “comunica” con lui, con la parola o con il corpo e con gli atteggiamenti comunichiamo qualcosa.

Questo implica che quando il medico veterinario informa una persona che il suo animale ha una malattia non guaribile, dovrebbe essere molto attento sia a come lo comunica sia, soprattutto, a comprendere quanto l’altro abbia recepito dalle parole che il professionista gli ha rivolto. Nella mia pratica quotidiana mi accorgo di non essere sempre chiaro, l’emozione, il dolore per quello che sto per riferire, il cercare di dare la brutta notizia senza traumatizzare il mio interlocutore, mi bloccano e questo talvolta mi rende difficile tenere adeguatamente conto di cosa significhi “comunicare”.

La comunicazione verbale, ossia le parole che pronunciamo, rappresenta infatti solo il 7% di quello che viene veramente percepito da chi ci ascolta: il 93% di quello che, per così dire, passa è il non verbale, cioè come ci presentiamo, come ci muoviamo, se sudiamo, se siamo pallidi o rossi dall’emozione, se tremiamo o balbettiamo, ecc. Il compagno dell’animale si sente dire: “il cane è grave, ha pochi giorni di vita, soffre…,” ascolta e guarda il veterinario, un turbine di emozioni negative lo assale, lo sovrasta e a volte lo sconvolge, rendendolo incapace di cogliere l’essenza della comunicazione.

E dal momento che comunicare non è informare, quando noi veterinari comunichiamo una diagnosi infausta per un animale, dovremmo avere ben presente che l’intento è quello di rendere la persona consapevole del messaggio che gli stiamo inviando in modo che possa capire non solo il significato delle parole ma anche la gravità delle informazioni che condividiamo con lui. Tutti i clinici dovrebbero – nei limiti dell’emotività di ciascuno – se l’interlocutore  non è in grado di comprendere la diagnosi e, nel nostro caso, la portata della diagnosi per l’animale,  non limitarsi a enunciare una serie di dati, perché nella mente del proprietario/a dell’animale quei dati e quei numeri devono diventare una realtà, triste ma inevitabile. Questo affinchè l’animale e il suo proprietario/a riesca a trascorrere nel modo migliore gli ultimi momenti di vita insieme.

Quante volte il compagno umano dell’animale che a breve cesserà di vivere fa una narrazione imperfetta, approssimativa, a volte omissiva dello stato di salute del suo pet, e questo accade perché le emozioni e i sentimenti che il proprietario prova sono paura, dolore, senso di colpa, incredulità. Emozioni e sentimenti che non gli consentono di essere lucido ed obiettivo.

In questo turbinio di cose dette e omesse, di informazioni espresse con la postura e comunicate con le parole, di non ricordato in quel momento e di desiderio che non sia vero quello che accade, il medico veterinario deve – questo è il suo compito di professionista –mantenersi lucido, empatico e accogliere il dolore per trasformalo il forza, affinchè la persona possa aiutare il suo animale ad affrontare questa prova.

LE TERAPIE PALLIATIVE

Le cure palliative sono nate nell’ambito della medicina umana negli ultimi decenni e hanno avuto una buona diffusione anche in Italia e ciò anche per via dell’allungarsi della vita e per la sempre maggior possibilità offerta dalla scienza medica ai malati terminali di avere una buona qualità della vita anche quando questa è destinata inevitabilmente a finire.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce le cure palliative come un approccio in grado di migliorare «la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicosociale e spirituale» (World health organization, National cancer control programmes. Policies and managerial guidelines, 2002, p. 84).Anche in medicina veterinaria, da alcuni anni, si affronta il problema del sostegno che può essere dato a un animale colpito da una malattia incurabile ma che mantiene le sue funzioni vitali.

Il concetto di cura palliativa è quello di avere una visione olistica della cura e di conseguenza anche della patologia. Il paziente è al centro della cura e l’attenzione è quella di curarlo nella sua interezza di corpo-mente-spirito, nell’ottica di tutelarne il benessere fisico, emozionale e sociale fino alla morte – che può avvenire in modo naturale o attraverso l’eutanasia – consentendogli di vivere con le persone che ama e di continuare a fare una vita di qualità per il tempo che gli rimane. Per fare ciò non si può dimenticare la famiglia che soffre con il pet e che ha bisogno di sostegno e di aiuto sia emotivo sia medico (ossia della terapia per il pet). Il clinico, oltre a fornire all’animale le cure per evitargli, nel limite del possibile, il dolore e i disagi legati alla malattia (esempio,evitare il vomito, i problemi intestinali, le piaghe da decubito, ecc.), lo sostiene sul piano emotivo favorendone il riposo notturno e l’ansia per la mancanza di autonomia o per l’impossibilità di fare quello che faceva prima. Questo aiuto psicologico lo offre anche alla famiglia, con la sua disponibilità- se necessario facendosi assistere da uno psicologo-  affinchè le persone affrontino questo momento con serenità, indispensabile perchè l’accompagnamento al loro caro animale diventi un momento per salutarsi e per vivere questi giorni con il piacere di avergli dato tutto l’amore e l’aiuto di cui aveva bisogno, per essere sereno e perché la famiglia conservi un ricordo della vita insieme che comprenda anche il distacco. L’elaborazione del lutto inizia quando il medico veterinario comunica la notizia e nel momento in cui ci si predispone ad accompagnare il pet verso il riposo dopo una vita appagante.

Questo approccio ad una patologia incurabile non vuole prolungare la vita ad ogni costo, con accanimento terapeutico, bensì con un accompagnamento che può terminare con la morte naturale, oppure con l’eutanasia quando la sofferenza diventa intollerabile e inutile.

AIUTARE GLI ANIMALI CHE RESTANO

In una famiglia ci possono essere più animali e anche quello che rimane e che assiste alla morte del suo compagno ha bisogno di aiuto. I pets tra loro instaurano dei legami, si sostengono e si vogliono bene come facciamo noi esseri umani, se uno di loro sta male, soffre e poi muore, quello o quelli che hanno vissuto con lui soffrono, sentono il peso della perdita. Gli animali non hanno la possibilità di esprimere con parole il loro dolore ma lo manifestano con il comportamento, si isolano, mangiano meno, ricercano il compagno che non trovano più, non si deve quindi sottovalutare la pena che provano per la morte di un compagno di vita. Per questi motivi è importante che siano coinvolti emotivamente nella malattia e nella morte di questo. Lasciate che l’animale sia presente negli ultimi giorni di vita del pet malato, lasciate che lo assista e condividete con lui le cure. Anche quando avviene il trapasso, sia che avvenga naturalmente, oppure con l’eutanasia è bene che sia presente, che veda quello che accade, che partecipi ai preparativi del corpo per essere trasportato via per la cremazione, oppure sotterrato. È necessario questo passaggio perché anche lui deve elaborare il lutto ed essere presente serve a fargli comprendere che il suo amico non è svanito nel nulla ma che è morto e non ci sarà più. E se dovesse cercarlo? assecondate anche questo comportamento: sarà più triste e, forse, cambierà abitudini, e in questo caso supportatelo e coadiuvatelo in modo da condividere con lui la vostra tristezza. Questo lo aiuterà e aiuterà voi stessi.

E se l’aiuto e il sostegno non basta non esitate a consultare il veterinario che può darvi indicazioni o consigliarvi un medico veterinario esperto in comportamento che vi fornisce i consigli sulla gestione quotidiana di questo momento di passaggio, su come  sostenere l’animale che resta e, se necessario, prescrivere una terapia farmacologica, con ansiolitici naturali o di sintesi che gli alleviano l’ansia legata alla perdita.

Bibliografia

Watzlawick, J. H. Beavin, Don D. Jackson; Pragmatica della comunicazione umana, Casa Editrice Astrolabio, 1971, Roma

A cura di M. Gensabella Furnari, Il paziente, il medico e l’arte del curare, Rubbettino Editore, 2005 Soveria Mannelli

Alessio, F. Fassola, Quando l’eutanasia esce dalla routine, come gestire le criticità. Suggestione di innovazione, WebinarVetoquinol, 02/12/2020

https://www.treccani.it/enciclopedia/medicina-e-cure-palliative_%28XXI-Secolo%29/